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Attività fisica e sindrome fibromialgica


La sindrome fibromialgica (SFM) è una forma generalizzata di dolore muscolo-scheletrico diffuso e di affaticamento (astenia).
Viene genericamente definita come una sindrome dolorosa cronica, ad eziopatogenesi incerta, caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso, dalla presenza di punti elettivi di dolorabilità (tender point), da astenia, da disturbi del sonno e da altri vari sintomi di accompagnamento (rigidità, ansia e depressione, disturbi cognitivi ...).
La SFM interessa soprattutto il sesso femminile (il rapporto donne/uomini è di 9:1 e di 20:1 in base agli studi considerati) e l’età media (25-35 e 45-55 anni).
Il team coinvolto nel trattamento riabilitativo è formato da diverse figure professionali (il reumatologo, il fisiatra, lo psicologo, il fisioterapista, il terapista occupazionale, l’infermiere, il medico di base) e deve prevedere anche il coinvolgimento attivo del paziente e della sua famiglia, che devono diventare a tutti gli effetti membri e collaboratori del gruppo di lavoro.
Il fisioterapista contribuisce al raggiungimento degli obiettivi generali di riduzione della disabilità e di miglioramento della qualità di vita dell’individuo attraverso una corretta pianificazione delle strategie di intervento , tra cui esercizio fisico e movimento in acqua.
L’introduzione di un programma di esercizi fisici è importante per il paziente con SFM se si considera il decondizionamento fisico frequentemente riscontrato in queste persone . Un programma di attività fisica, introdotto dopo un’adeguata educazione ed un’idonea terapia farmacologica, deve mirare al recupero psicofisico, funzionale e sociale del paziente.



L’esercizio fisico, specialmente di tipo aerobico, è supportato da un’evidenza di moderata qualità nel raggiungimento di medi effetti positivi nelle misure generali di benessere e nella funzione fisica , il medesimo esercizio potrebbe essere utile anche per il dolore, i tender point, la depressione, la qualità del sonno e l’astenia, l’allenamento alla forza deve essere progressivamente associato al training aerobico .
Benché le evidenze siano ancora insufficienti, anche lo stretching statico, se consideriamo le sue basi teoriche, deve diventare una parte importante di tutti i programmi di attività fisica, perché consente di mantenere un’adeguata lunghezza e forza dei tessuti molli, permettendo così un completo range di escursione articolare e migliorando di conseguenza il meccanismo di nutrizione delle cartilagini articolari.
Purtroppo in letteratura mancano precise indicazioni relative ai parametri di intensità (negli studi si parla di intensità bassa/moderata), frequenza e durata degli esercizi. È però suggerito che il training fisico deve essere costante e diventare parte della quotidianità del paziente, perché è stato dimostrato che tutti i benefici ottenuti vengono perduti se l’attività fisica viene sospesa.
Dai risultati emersi da alcuni studi si è visto che l’esercizio aerobico svolto in acqua ha generalmente dimostrato di essere valido quanto il medesimo esercizio eseguito a secco, tuttavia il primo ha garantito vantaggi superiori negli aspetti emotivi e nella qualità del sonno. L’ambiente acquatico, pur non essendo indispensabile nel trattamento della SFM, si è talora rivelato essere uno stimolo positivo per favorire la difficoltà iniziale del paziente al trattamento e consentire in seguito la prosecuzione dell’attività fisica a secco.



Matteo Barbi - Posturologo - Chinesiologo